TAG: vinificazione in bianco, Estrazione del mosto, Gestione dell'ossidazione, Sfecciatura, Gestione della fermentazione alcolica
di Lorenzo Tablino
La vinificazione dei bianchi: Il futuro del mercato del vino privilegerà i bianchi? Pare di si, stando alle indicazioni dei vivaisti che evidenziano un consistente incremento nella richiesta di barbatelle di uve bianche. Il nostro paese ha una tradizione antichissima in questo settore, ma per secoli le tecniche di lavorazione furono molto empiriche, di fatto solo intorno al sec XVIII entrano in cantina alcune pratiche per i mosti da uve bianche, in seguito la produzione dei primi spumanti stimolò le cantine a studiare varie soluzioni applicative.
Con gli anni sessanta del secolo scorso, la tecnica del freddo e i primi serbatoi inox innovano in modo decisivo la produzione dei bianchi. Oggi anche per un vino bianco il mercato globale, richiede una precisa identità territoriale, correlata a vitigno e territorio e una forte piacevolezza sensoriale intesa come armonia e persistenza di aromi e gusto. Ecco di seguito ad alcune osservazioni generiche in tema vinificazione bianchi, basate per lo più sull'esperienza di cantina.
Quando raccogliere l'uva? A maturazione fisiologica o leggermente anticipata, per avere maggiore acidità, più azoto per i lieviti e profumi primari di eccellente finezza. La cernita in vigneto e, possibilmente in cantina, è fondamentale. Se l"uva è raccolta in cassette sarebbe auspicabile un'ulteriore cernita su tapis roulant prima della pressatura. La pulizia e l"igiene sono fondamentali, sia per i cassoni utilizzati per la raccolta e il trasporto, sia per gli impianti, in particolare per i primi giorni di lavorazione. In molte cantine ormai si attua il raffredamento delle uve pre-torchiatura.
La movimentazione prima della pressatura sarà " soffice " per quanto possibile.
In genere due alberi rompiponte eviteranno fermate e soprattutto eccessivi sfregamenti e attriti dell’uva con danneggianti inutili, se non dannosi
Impianti di pompaggio tipo “rhoto”, garantiranno il rispetto materia prima e uniformità pompaggio tramite gestione inverter.
Gli impianti di pressatura
Nell’antica civiltà del vino ben noto era il torchio: da quello latino” a leva, al genovese” con doppia vite. Nell’ottocento il ferro sostituì il legno nei vari torchi Mabille, Marmonnier, Salvaneschi, ect.
Da anni sono diffuse presse orizzontali per la torchiatura delle uva a bacca bianca. I modelli e i materiali impiegati sono diversi e in questi ultimi anni hanno subito significative innovazioni, sia nei materiali usati, sia nel processo di pressatura eseguito.
Appositi display permettono controlli visivi centralizzati su tutto il processo di pressatura con possibilità di controllo e modifiche. Le presse possono funzionare con acqua, oppure con aria.
Quelle ad acqua necessitano di serbatoi e tubazioni di alimentazione, inoltre c’è il rischio - seppur oggi minimo - di rotture della membrana dei polmoni con invasione di acqua nella massa di uva pressata.
Quelle ad aria sono più sicure e la pressione sul pigiato è molto uniforme.
Il riempimento della pressa può essere assiale o dall’alto.
Può anche avvenire con uva intera nel caso di spumanti di alta qualità
E' opportuno avvenga a impianto fermo, anche se si ha meno sgrondo, se la pressa è in movimento, la rotazione continua si danneggia un po’ l’uva con maggior estrazione fenoli e feccia di maggior volume.
Terminato il riempimento, inizia il ciclo di pressatura, oggi superautomatizzato.
Vari cicli prevedono pressioni diverse secondo filosofia di pressatura e dei mosti che si vogliono ottenere: in genere il mosto fiore è dato dallo sgrondo e sino a 0, 2 -0,5 atm, oltre e sino a 2 atm ca. si avrà invece il torchiato.
Il numero dei vari cicli varia in funzione delle caratteristiche dell’uva, dei tempi e delle pressioni: da un minimo di 5 ad un max di 9, riguardo ai tempi una buona pressa esaurisce la vinaccia in genere in 3 -3.5 ore, calcolando i tempi di carico - 40 min.-, scarico -30 min -si arriva in genere a circa 4 ore max.
Il riferimento è l’uva pinot nero (Oltrepo’ Pavese) per una pressa dalla una capienza di 500 qli uva circa
Terminato il ciclo di esaurimento, si precede alla scarico anche avviene automaticamente per rotazione della gabbia che provoca sgretolamento della vinaccia che, per gravità, scende in basso tramite apposita portella di scarico.
Una vinaccia ben esaurita al tatto non è molto umida, inoltre la resa in mosto rispetta quanto disposto dai disciplinari doc.
Ci limitiamo ad evidenziare le peculiarità di una razionale pressatura:
· Rispettare al massimo parti solide
· Esaurire la vinaccia
· Permettere separazioni frazioni di mosto
· Automatizzare le varie operazioni
· Facilitare l' accesso e la pulizia.
Il trattamento del mosto grezzo
In genere la solforazione avviene sul mosto in uscita pressa con dosaggi variabili da 30 a 60 mgr x. lt. in relazione alla presenza di laccasi.
La questione della questione della limpidezza dei mosti è complessa.
Nel passato - anni 60 - si cercava di ottenere una buona a limpidezza, anni dopo si cambiava, lasciando nel mosto particelle in sospensione.
Vediamo pro e contro: Se troppo limpidi c’è meno competizione tra lieviti selezionati e microflora spontanea e i profumi rimangono più intensi ed eleganti, se molto velati c’è maggior caratterizzazione in fatto di tipicità del prodotto, si evita il rischio di standardizzare eccessivamente il prodotto finale.
A mio avviso è indispensabile rendere ben limpido il mosto, anche per abbattere ossidasi e altre sostanze nocive presenti tra cui residui di antiparassitari.
Indicativamente sui 30-40 n.t.u.
Rapidità della floculazione e della sedimentazione, neutralità dei chiarificanti, facilità nell’uso sono i parametri principali in questi fase del processo.
I chiarificanti più utilizzati usati, oggi,sono sol silice e gelatina.
In rapporto 10 /1, dosi medie indicative 100-10 gr.x lt..
Da alcun anni sono tornati di moda tannino e gelatina in rapporto 8/10, per maggior rispetto della struttura del mosto.
Per stabilire le dosi occorrono prove in piccolo correlate a vari fattori: colore mosto, densità, presenza botritis o altri colloidi, ph, polifenoli.
Oggi, in vero si tende a ridurre al minimo i trattamenti al mosto, grazie a tecnologie adeguate (frigorie e spazi in acciaro inox adeguati), si lascia il mosto per lunghi tempi per una sedimentazione spontanea. In tal modo l’uso dei chiarificanti è molto ridotto, in certi casi eliminato.
Il vantaggio principale consiste nell’ottenere un mosto che dovrebbe conservare integri struttura del mosto grezzo ed elevata tipicità del prodotto finale.
Ma una tale procedura, in certi casi, assume valore aggiunto solo a livello di pubbliche relazioni, inoltre l’applicazione è possibile solo in cantine che trattano piccole partite di uva.
La flottazione è un processo industriale alternativo alla sedimentazione. L’aria dissolta nel mosto, provoca la spinta delle particelle solide - leggi floculo di chiarifica - in cima al recipiente; in seguito per sfioramento continuo avviene la separazione rendendo limpido il mosto.
Utilizzata venti anni fa, oggi è in disuso.
Un problema complesso riguarda la temperatura del mosto in questa fase.
Se è inferiore a 10 gradi il mosto non fermenta, ma i chiarificanti floculano male, se alzi la temperatura sui 20 gradi rischi un inizio di fermentazione e addio separazione statica.
Il compromesso può essere sui 15-16 gradi.
In caso di uva malate con mosti ricchi di colloidi difficilmente trattabili si può centrifugare pre-chiarifica.
Si perdono un po’ di aromi, si guadagna in minor feccia.
La fermentazione
Occorre iniziare subito il processo avendo almeno 2-3 milioni di cellule per cc. Il valore ottimale è ottenuto calcolando 300.000 cellule di lievito selvaggio come dosaggio normale nei mosti ; come è noto il lievito selezionato prevale sul selvaggio quando è 10 volte superiore.
Per la preparazione del cosiddetto “ piede de couve” preferisco usare, in mescolanza, diversi lieviti, il “cocktail “lo chiamano i cantinieri.
Di norma un Cerevisiae, un Bayanus, un varietale.
Anche se la classificazione è vecchia e la purezza della specie è molto teorica nelle condizioni di cantina, i risultati che ho ottenuto sono ottimi.
In genere ho sempre iniettato “un piede de couve “ in volume pari al 5 %. della massa totale
Ma l’osservazione dice poco, è indispensabile che il lievito abbia la parete cellulare spessa e questo si raggiunge solo con dosaggi di azoto -tiamina e ossigeno già in fase di preparazione piede de couve.
PH non oltre 3.20 e temperatura di fermentazione sui 18-20 gradi per ottenere profumi di buon livello, garanti di una certa tipicità.
Importante è il nutrimento del lievito: 200 mg/l di APA è da considerare valore minimo ai fini pratici. Oggi si da più importanza al contenuto in aminoacidi (almeno 1 grammo per litro).
Uso poco i prodotti complessi: 25- 30 gr. x q.le di solfato - fosfato ammonico e 50 mgr x q.le di tiamina danno un apporto di 60- 80 APA. Calcolando quello naturale dell’uva i conti tornano quasi sempre.
Solo in annate piovose, botritizzate, comunque particolari, i dosaggi si possono aumentare del 20 - 30 per cento.
In tal caso è anche utile aggiungere, a 2-3 gradi alcol bentonite e caseinato di potassio, rispettivamente in dosi di 50 e 30 grammi per ettolitro.
Eliminiamo ossidasi e polifenoli in eccesso, le migliori condizioni del mezzo garantiranno anche migliori profumi.
A fine fermentazione con un residuo zuccherino di circa 5-10 gr/lt è opportuno travasare la massa in fermentazione
E’ una buona tecnica, in quanto riduce il problema complesso e non ancora ben chiarito della “inibizione da substrato”, allontanando i lieviti attivi da una parte delle cellule morte e dei cataboliti che possono rallentarne l’attività fermentativa.
In tal modo si sono separate le cosiddette fecce grosse, ma da circa 10 anni prevale la tendenza a gestire le fecce fini in modo adeguato.
Si tratta della pratica del “ batonage,” giunta dalla Germania e senz’altro auspicabile, soprattutto in annate buone.
Il vino sia arricchirà soprattutto in polisaccaridi e colloidi, inoltre acquisirà maggiori profumi.
Modalità: molto variabili, personalmente ho ottenuto buoni risultati con sollevamenti delle fecce per due- tre volte alla settimana e per il primo mese se il vino è conservato in barriques, in seguito una volta alla settimana per 5-6 mesi.
Le innovazioni
Da circa mezzo secolo il settore dei vini bianchi ha visto proporre ed applicare innovazioni e sperimentazioni.Chi scrive le ha vissute quasi tutte, molte hanno creato illusioni, alcune rimangono, altre verranno proposte. Nessuno ha la ricetta ideale e l’enologo sceglierà caso per caso in funzione di cosa vuol produrre e per quale consumatore finale.
Uno studioso tedesco - Muller Spaat -negli anni sessanta preconizzò, in vinificazione, l'utilizzo di ossigeno o in alternativa l'assenza di anidride solforosa, al fine di ossidare fortemente i composti del mosto - fenoli in particolare -, garantendo così la stabilità finale al vino (e anche la perdita, spesso, della sua tipicità preciso subito).
Era la cosiddetta iperossidazione, oggi in Italia è praticamente abbandonata, anche se molti enologi l’applicano parzialmente eliminando l‘aggiunta di solforosa in fase di sedimentazione del mosto.(metodo dell’ossidazione controllata).
Dall’ Australia e Nuova Zelanda è arrivavate, qualche anno fa, la vinificazione in totale riduzione, detta anche iperiduzione.
Si basa sulla totale protezione dell’uva e del mosto in fase di scarico e pressatura, con l’ottenimento di vini bianchi più stabili e con profumi di maggior finezza.
Allo scopo si utilizzano anidride carbonica sotto forma di ghiaccio secco e/o azoto, i promotori ritenevano insufficienti l’azione antiossidante dell’anidride solforosa e dell’ acido ascorbico.
L’uva viene pressatura in atmosfera di azoto, detto gas entra ed esce all’interno della gabbia di pressatura, seguendo le fasi di compressione vinaccia o sgretolamento vinaccia (Brevetto Vaslin Bucher Inertys).L’iperiduzione, se ben applicata protegge dalle ossidazioni i composti ossidabili, riuscendo anche ed estrarli e quindi ad eliminarli. Inoltre l’aggiunta di anidride solforosa e/o acido ascorbico nelle successive operazioni di conservazione e imbottigliamento è veramente ridotto, in particolare se la cantina dispone di tecnologie che permettano di proseguire nella catena della iperiduzione.
Con la macerazione pellicolare si provocava un contatto tra mosto e parti solide dell 'acino, a bassa temperatura - 2-4 gradi - e per una durata di 18 - 24 ore. Si estraggono in tal modo più aromi. Anche in questo caso c'è una piccola perdita di tipicità, inoltre il sistema richiede complesse e costose attrezzature.
Oggi è un po’ 'in disuso.
Decisamente di moda e quasi d'obbligo in questi ultimi anni l’enzimaggio.
In effetti i vari enzimi facilitano la decantazione e la pulizia dei mosti in quanto rompono le catene pectiche che rendono densi e viscosi i mosti.
Alcuni enzini "liberano anche profumi" in quanto "idrolizzano i glucosidi dei terpeni", questi ultimi sono importanti aromi primari presenti nell'uva.
Ma restano molte perplessità: non si conosce esattamente la composizione delle sostanze enzimatiche che si mettono nel vino, esistono dubbi sulla tipicità del vino ottenuto, soprattutto riguardo ai quadri aromatici. Di fatto molti enologi hanno smesso di usare enzimi.
Infine è utile sottolineare che la pressione commerciale su tali prodotti, veramente enorme, il buisness è "di circa 8-900 miliardi di vecchie lire in tutto il mondo.
Nella vinificazione dei bianchi si utilizzano barriques per la fermentazione e/o di trucioli e tannini, In genere preferisco la fermentazione parziale in inox con eliminazione delle fecce pesanti, ovvero riempimento delle barriques quando il vino è a circa 8-9 gradi alcol.
Ci sono meno rischi di ridotto e profumi più eleganti.
E’ bene usare barriques nuove a medio-basso indice tostatura.
A fermentazione ultimata si toglie il vino dalle barriques separando ancora le fecce grossolane, si lavano i piccoli fusti e subito si riempiono con stesso vino per poi procedere ad eventuali “batonage” delle fecce fini.
Si possono usare anche in fermentazione doghe, asticelle, cubetti, trucioli e polvere ottenuti dalla lavorazione del rovere.
Da alcuni mesi tali pratiche sono ammesse in Italia, limitatamente ai vini da tavola.
Aggiungo soltanto che gli eventuali “profumi vanigliati” ottenuti non sono per nulla stabili.
I tannini enologici spesso sono utilizzati sui mosti di uve bianche appena ottenuti anche a scopo antiossidante (esempio vendemmia 2002).
Di varia origine e tipologia, è bene preferire quelli ottenuti dal legno di quercia di rovere.
Lievito selezionato o naturale?
Il primo problema concreto che si pone al tecnico è il seguente: utilizzare lieviti selezionati o naturali?
Che apporti differenti danno al nostro vino? E’ sempre giustificata la spesa per acquistare i selezionati?
Per me è prioritaria la qualità dell’uva: se è sana, se proviene da vendemmia con buon andamento climatico, è presumibile che i lieviti naturali siano di buon livello qualitativo e quantitativo e, di conseguenza, sono all’altezza di garantire un andamento ottimale del processo fermentativo.
Se nell’uva sono presenti malattie, causa tempo avverso o altri motivi, c’è il forte rischio di apporto al mosto di lieviti cattivi o dannosi; in tal caso si rende pertanto indispensabile il ricorso ai selezionati.
Ho avuto per un lungo periodo la possibilità di mettere a confronto diversi lieviti selezionati a confronto con il lievito naturale dell’uva nebbiolo.
Ma non ho mai riscontrato differenze significative a livello di frazionamento polifenoli o di analisi organolettica tra il lievito naturale e quelli selezionanti. Preciso che le prove sono sempre state condotte in modo razionale, verificando parametri e procedure, lo stesso dicasi per l’esame organolettico eseguito da un panel addestrato.
Ma il problema è più complesso: quale è in sostanza la differenza tra lievito selezionato e naturale.
Solo maggiori possibilità per il selezionato nell’ottenimento di particolari pregi nel nostro vino, oppure il lievito naturale caratterizza il vino in quanto espressione di terroir.
Autori quotati sostengono che non c’è nell’uva una flora specifica che si possa ricondurre ad un territorio determinato, ma solo un’ eterogenea varietà di ceppi in competizione una sull’altra.
Eppure l’industria del lievito selezionato ha immesso sul mercato il lievito del Brunello, del Barolo, ect.
Altri invece sostengono che i lieviti selezionati standardizzano in parte i vini, ma è sin troppo facile rispondere che ci sono in enologia pratiche più invasive e pericolose.
Pareri opposti si scontrano, al momento per l’enologo non c’è risposta precisa.
www.tablino.it