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IL BAROLO CHINATO

di Lorenzo Tablino

Nella seconda metà dell’ottocento l’enologia piemontese subì radicali cambiamenti con enormi riflessi sulla sua crescita, sia produttiva che commerciale. Basti pensare alla nascita degli spumanti   italiani a Canelli, alla diffusione commerciale del Barolo e del Barbaresco, all’affermazione delle grandi case vinicole. In quegli anni ricchi di novità, scoperte, entusiasmi facevano molta tendenza i cosiddetti vini dei farmacisti , definiti in alcuni manuali di enologia anche vini medicinali. Spesso se ne decantavano finalità salutistiche o miracolose: tonici, corroboranti, cordiali, virili, eccitanti dell’appetito, digestivi. Un toccasana per ogni male insomma per questi originali “elisir di lunga vita”. A Ippocrate, il grande medico greco (460 a.C.), dobbiamo la prima descrizione di un vino ottenuto con infusione e macerazione di fiori ed erbe, utilizzò, in particolare, l’artemisia, ovvero l’assenzio, chiamato “wermut” in tedesco. Da qui il nome” vermouth/ vermut” per i preparati a base di assenzio, il vero vermut nascerà a Torino, intorno al sec XVIII, grazie alla ditta Carpano. I romani usavano anche   foglie aromatiche di timo, rosmarino. I Veneziani, grandi commercianti di spezie, dall’oriente, aggiunsero cardamomo, cannella, chiodi di garofano, mirra o rabarbaro. D’altronde se si legge l’interessante testo di M.Pendergrast” la vera storia della” Coca Cola” - ed. Piemme 1993 - si nota subito che il vero inventore non fu il famoso farmacista di Atlanta, tale J Pemberton, bensì un signore corso che intorno al 1871 ideo il “Vin Mariani “, un vino aromatizzato a base di foglie di Coca, estratti vari e vino di Bordeaux.
Nella zona dell’Albese due farmacisti con un lungo e paziente lavoro fatto di prove, sperimentazioni e assaggi aggiunsero erbe e droghe al Barolo, un vino che in quel momento conosceva una buona affermazione sui mercati di tutto il mondo.
Va ai farmacisti Giuseppe Cappellano di Serralunga e Mario Zabaldano di Monforte d'Alba il merito storico della ideazione e preparazione del Barolo chinato. Siamo intorno al 1890, di fatto il "prelibato Barolo - chinato" Zabaldano merita una medaglia d'oro all'Esposizione franco-italiana di Nizza del 1899. Negli anni successivi altri produttori di Barolo seguirono la strada ormai tracciata, citiamo tra gli altri Giacomo Borgogno di Barolo e Giulio Cocchi di Asti che, nel 1913, nella sua carta intestata si definiva “produttore di Barolo Chinato”.  
Le ricette sono ovviamente segrete, cosi racconta Teobaldo Cappellano: “La formula del mio Chinato? È segreta. Mio padre Augusto me la lasciò in una busta, che venne consegnata a un amico: fu aperta solo nel 1968, alla sua morte. A sua volta, l'aveva ricevuta dallo zio farmacista, poiché il padre era morto giovane senza potersi occupare dell'azienda di famiglia. Negli Anni '50 un’importante azienda vinicola della zona ci offrì, per la nostra   ricetta una cifra consistente, con la quale allora si potevano comprare due appartamenti a Torino. Ma non la vendemmo. Sono l'unico a conoscerla e la lascerò a mio figlio, che già lavora con me in azienda” (da C.e G. Padovani - “Conoscere il cioccolato “ ediz. Ponte delle Grazie 2006).
La produzione e il mercato del Barolo Chinato crebbero sino alla seconda guerra mondiale, ma a partire dagli anni ’60 del secolo scorso inizia un periodo di crisi: cambiano i gusti dei consumatori, nei bar e nelle osterie il consumo del prodotto è riservato solamente a pochi nostalgici, di fatto arrivano pochissime ordini alle cantine. In molte cantine venne dismessa la produzione. Con gli anni novanta riprende l’interesse e cresce la domanda; di fatto con l’inizio del terzo millennio il Barolo Chinato, “ prodotto tanto antico,quanto moderno “, si impone all'attenzione del mercato. Oltre trenta cantine piemontesi lo presentano in listino, ma in certi casi la produzione è decentrata ad aziende esterne specializzate nella “trasformazione a freddo” di vini aromatizzati, causa di normative Utif complesse e molto burocratiche (sono richiesti locali separati, essendovi utilizzo di alcol e zucchero nella sua preparazione).
 Il disciplinare di produzione per il Barolo DOCG   (DPR 1-7 1980 art.10) precisa: “ la denominazione "Barolo chinato" è consentita per i vini aromatizzati preparati utilizzando come base vino "Barolo docg" senza aggiunta di mosti o vini non aventi diritto a tale denominazione e con un'aromatizzazione tale da consentire, secondo le norme vigenti, il riferimento nella denominazione china”.
Come si produce il Barolo chinato in cantina? Iniziamo dal vino base che sarà obbligatoriamente Barolo, inoltre deve avere ottenuto l’idoneità DOCG dalla competente commissione d’assaggio camerale; è dunque pronto per ricevere la cosiddetta “concia”.
Il Barolo è bene sia stato precedentemente chiarificato, in genere si usano gelatina (10-15 grammi per hl) o albumina (3-4 grammi per hl) per garantire stabilità al vino e avere maggiore morbidezza. Al vino base ora occorre aggiungere zucchero, alcol e l’infuso di erbe e spezie. Lo zucchero si scioglie in una parte del vino con appositi agitatori, il dosaggio varia dal 14 al 18 per cento sul volume totale della massa. Dopo si aggiunge l’alcool etilico, che deve provenire da materie agricole (solitamente è ottenuto dalla distillazione delle barbabietole); il grado finale può variare da 16,5 a 17,5 gradi. Mescolare un alcool ad un vino non è semplice: l’omogeneizzazione è importante per la qualità del futuro Barolo chinato, occorre aggiungere lentamente alcol e agitare molto bene con rimontaggi o agitatori in ambiente chiuso per evitare perdite di alcol per evaporazione. Infine aggiungeremo l’infuso di erbe. E’ l’elemento prioritario che riveste moltissima importanza, si tratta di una preparazione alcolica ottenuta con circa 30 differenti specie di erbe e spezie. Conferirà al Barolo chinato una precisa caratterizzazione sensoriale. I metodi per ottenere l’estratto sono molteplici, ma di solito si ottiene per semplice infusione in soluzione idroalcolica a circa 50 gradi in recipienti inox. Per rimontaggi del liquido, oppure rotazione del recipiente stesso, si ottiene il passaggio dei principi attivi delle varie erbe, che donano aromi e sapori particolari all’infuso. Ogni azienda ha ovviamente la sua ricetta segreta, riguardo a qualità e dosaggio dei singoli componenti. Un accenno ora a nozioni di erboristeria: dal regno vegetale si impiegano, al fine di ottenere l’infuso per vini aromatizzati o liquori, radici, legno, foglie, fiori, semi, frutti, scorze e resine.
Le erbe si possono distinguere in amare, aromatiche e amare-aromatiche. Ecco le più usate per il Barolo chinato: la più rilevante è ovviamente la china nelle tre classiche varietà, ovvero Calisaya, Soccimano e Succirubra. Da sempre la Calisaya è maggiormente usata. Vengono anche utilizzati: coriandolo, cardamono, chiodi di garofano, calamo, caffè, cannella, arancio dolce e amaro, vaniglia, anice stellato, macis fino, rabarbaro e altre. Si ottengono in genere due o tre infusi di erbe a diversi gradi alcolici, appena ottenuti si mescolano insieme. L’infuso si amalgama con molta cura al Barolo, in genere rappresenta in volume il 2% della massa. Terminato il processo produttivo, il Barolo, ormai aromatizzato, resterà ancora in cantina per alcuni mesi per amalgamarsi in modo perfetto, magari in botti in rovere; in seguito verrà filtrato e quindi imbottigliato. E’ opportuno l’uso del tappo in sughero naturale come nel vino, alcuni produttori omaggiano il tappo a fungo, sempre in sughero, ma con testa in plastica. E’ comodo per l’uso dopo l’apertura della bottiglia. Finestra
Il sommelier e il barolo chinato: servizio, assaggio, abbinamenti
Il Barolo chinato si presenta moderatamente alcolico, con un colore rosso tra l’ambrato e il   granato, il profumo caratteristico ricorda la concia, mentre il gusto è caldo, rotondo e persistente. Non ha alcun limite evolutivo, meglio in ogni modo conservare la bottiglia coricata lontana da luce, rumori e vibrazioni. Servitelo nei piccoli “bicerin” a 13-14 gradi, abbinandolo a cioccolato, ( meglio quelli con alte percentuali di cacao), ideale anche per la pasticceria a base di cioccolato. Altri abbinamenti: piccoli dolci con mandorle amare, alcuni gourmet lo accostano felicemente a formaggi molto stagionati e non erborinati. Si scopre che il Barolo chinato è quanto mai versatile nel consumo: caldo diventa un ottimo “vin brulè” corroborante nel freddo invernale, allungato con molta acqua, ghiaccio e buccia di arancio diventa una bibita dissetante nel caldo estivo. Vediamo alcune regole sull’assaggio correlate all’esperienza personale presso le distillerie Gambarotta e in seguito a Fontanafredda.
Alla vista dovrà sempre essere limpidissimo, preciso che inevitabilmente un leggero deposito in Barolo chinati molto vecchi si forma, in tal caso niente decantage, il deposito si è ormai compatto, pertanto è meglio versare con molta cura senza bruschi movimenti.
Al naso presenterà note olfattive correlate alla concia, pertanto speziali, amare, chinate appunto. Ma debbono essere ben amalgamate, a differenza del vino non deve prevalere un aroma specifico bensì un aroma chinato - amaro piacevole e molto persistente. Spesso l’aroma è slegato per eccesso di spezie troppo amare o pungenti, es. chiodi garofano, oppure troppo dolci, es. arancio dolce o vaniglia. Al gusto l’equilibrio dovrà essere totale, questo si raggiunge se alcol e zucchero sono stati aggiunti razionalmente ed in giusta dose (un dato potrebbe essere pari zucchero e alcol in volume). Importanti sono anche acidità e tannicità del vino base. Alcune volte al gusto si presentano troppo dolci, sia per eccesso di zucchero, o per utilizzo di infuso squilibrato per eccessiva presenza di erbe con spiccati caratteri amaricanti - dolci.
 www.tablino.it

IL BAROLO CHINATO di Lorenzo Tablino Nella seconda metà dell’ottocento l’enologia piemontese subì radicali cambiamenti con enormi riflessi sulla sua crescita, sia produttiva che commerciale. Basti pensare alla nascita degli spumanti   italiani a Canelli, alla diffusione commerciale del Barolo e del Barbaresco, all’affermazione delle grandi case vinicole. In quegli anni ricchi di novità, scoperte, entusiasmi facevano molta tendenza i cosiddetti vini dei farmacisti , definiti in alcuni manuali di enologia anche vini medicinali. Spesso se ne decantavano finalità salutistiche o miracolose: tonici, corroboranti, cordiali, virili, eccitanti dell’appetito, digestivi. Un toccasana per ogni male insomma per questi originali “elisir di lunga vita”. A Ippocrate, il grande medico greco (460 a.C.), dobbiamo la prima descrizione di un vino ottenuto con infusione e macerazione di fiori ed erbe, utilizzò, in particolare, l’artemisia, ovvero l’assenzio, chiamato “wermut” in tedesco. Da qui il nome” vermouth/ vermut” per i preparati a base di assenzio, il vero vermut nascerà a Torino, intorno al sec XVIII, grazie alla ditta Carpano. I romani usavano anche   foglie aromatiche di timo, rosmarino. I Veneziani, grandi commercianti di spezie, dall’oriente, aggiunsero cardamomo, cannella, chiodi di garofano, mirra o rabarbaro. D’altronde se si legge l’interessante testo di M.Pendergrast” la vera storia della” Coca Cola” - ed. Piemme 1993 - si nota subito che il vero inventore non fu il famoso farmacista di Atlanta, tale J Pemberton, bensì un signore corso che intorno al 1871 ideo il “Vin Mariani “, un vino aromatizzato a base di foglie di Coca, estratti vari e vino di Bordeaux. Nella zona dell’Albese due farmacisti con un lungo e paziente lavoro fatto di prove, sperimentazioni e assaggi aggiunsero erbe e droghe al Barolo, un vino che in quel momento conosceva una buona affermazione sui mercati di tutto il mondo. Va ai farmacisti Giuseppe Cappellano di Serralunga e Mario Zabaldano di Monforte d'Alba il merito storico della ideazione e preparazione del Barolo chinato. Siamo intorno al 1890, di fatto il "prelibato Barolo - chinato" Zabaldano merita una medaglia d'oro all'Esposizione franco-italiana di Nizza del 1899. Negli anni successivi altri produttori di Barolo seguirono la strada ormai tracciata, citiamo tra gli altri Giacomo Borgogno di Barolo e Giulio Cocchi di Asti che, nel 1913, nella sua carta intestata si definiva “produttore di Barolo Chinato”.   Le ricette sono ovviamente segrete, cosi racconta Teobaldo Cappellano: “La formula del mio Chinato? È segreta. Mio padre Augusto me la lasciò in una busta, che venne consegnata a un amico: fu aperta solo nel 1968, alla sua morte. A sua volta, l'aveva ricevuta dallo zio farmacista, poiché il padre era morto giovane senza potersi occupare dell'azienda di famiglia. Negli Anni '50 un’importante azienda vinicola della zona ci offrì, per la nostra   ricetta una cifra consistente, con la quale allora si potevano comprare due appartamenti a Torino. Ma non la vendemmo. Sono l'unico a conoscerla e la lascerò a mio figlio, che già lavora con me in azienda” (da C.e G. Padovani - “Conoscere il cioccolato “ ediz. Ponte delle Grazie 2006). La produzione e il mercato del Barolo Chinato crebbero sino alla seconda guerra mondiale, ma a partire dagli anni ’60 del secolo scorso inizia un periodo di crisi: cambiano i gusti dei consumatori, nei bar e nelle osterie il consumo del prodotto è riservato solamente a pochi nostalgici, di fatto arrivano pochissime ordini alle cantine. In molte cantine venne dismessa la produzione. Con gli anni novanta riprende l’interesse e cresce la domanda; di fatto con l’inizio del terzo millennio il Barolo Chinato, “ prodotto tanto antico,quanto moderno “, si impone all'attenzione del mercato. Oltre trenta cantine piemontesi lo presentano in listino, ma in certi casi la produzione è decentrata ad aziende esterne specializzate nella “trasformazione a freddo” di vini aromatizzati, causa di normative Utif complesse e molto burocratiche (sono richiesti locali separati, essendovi utilizzo di alcol e zucchero nella sua preparazione).  Il disciplinare di produzione per il Barolo DOCG   (DPR 1-7 1980 art.10) precisa: “ la denominazione "Barolo chinato" è consentita per i vini aromatizzati preparati utilizzando come base vino "Barolo docg" senza aggiunta di mosti o vini non aventi diritto a tale denominazione e con un'aromatizzazione tale da consentire, secondo le norme vigenti, il riferimento nella denominazione china”. Come si produce il Barolo chinato in cantina? Iniziamo dal vino base che sarà obbligatoriamente Barolo, inoltre deve avere ottenuto l’idoneità DOCG dalla competente commissione d’assaggio camerale; è dunque pronto per ricevere la cosiddetta “concia”. Il Barolo è bene sia stato precedentemente chiarificato, in genere si usano gelatina (10-15 grammi per hl) o albumina (3-4 grammi per hl) per garantire stabilità al vino e avere maggiore morbidezza. Al vino base ora occorre aggiungere zucchero, alcol e l’infuso di erbe e spezie. Lo zucchero si scioglie in una parte del vino con appositi agitatori, il dosaggio varia dal 14 al 18 per cento sul volume totale della massa. Dopo si aggiunge l’alcool etilico, che deve provenire da materie agricole (solitamente è ottenuto dalla distillazione delle barbabietole); il grado finale può variare da 16,5 a 17,5 gradi. Mescolare un alcool ad un vino non è semplice: l’omogeneizzazione è importante per la qualità del futuro Barolo chinato, occorre aggiungere lentamente alcol e agitare molto bene con rimontaggi o agitatori in ambiente chiuso per evitare perdite di alcol per evaporazione. Infine aggiungeremo l’infuso di erbe. E’ l’elemento prioritario che riveste moltissima importanza, si tratta di una preparazione alcolica ottenuta con circa 30 differenti specie di erbe e spezie. Conferirà al Barolo chinato una precisa caratterizzazione sensoriale. I metodi per ottenere l’estratto sono molteplici, ma di solito si ottiene per semplice infusione in soluzione idroalcolica a circa 50 gradi in recipienti inox. Per rimontaggi del liquido, oppure rotazione del recipiente stesso, si ottiene il passaggio dei principi attivi delle varie erbe, che donano aromi e sapori particolari all’infuso. Ogni azienda ha ovviamente la sua ricetta segreta, riguardo a qualità e dosaggio dei singoli componenti. Un accenno ora a nozioni di erboristeria: dal regno vegetale si impiegano, al fine di ottenere l’infuso per vini aromatizzati o liquori, radici, legno, foglie, fiori, semi, frutti, scorze e resine. Le erbe si possono distinguere in amare, aromatiche e amare-aromatiche. Ecco le più usate per il Barolo chinato: la più rilevante è ovviamente la china nelle tre classiche varietà, ovvero Calisaya, Soccimano e Succirubra. Da sempre la Calisaya è maggiormente usata. Vengono anche utilizzati: coriandolo, cardamono, chiodi di garofano, calamo, caffè, cannella, arancio dolce e amaro, vaniglia, anice stellato, macis fino, rabarbaro e altre. Si ottengono in genere due o tre infusi di erbe a diversi gradi alcolici, appena ottenuti si mescolano insieme. L’infuso si amalgama con molta cura al Barolo, in genere rappresenta in volume il 2% della massa. Terminato il processo produttivo, il Barolo, ormai aromatizzato, resterà ancora in cantina per alcuni mesi per amalgamarsi in modo perfetto, magari in botti in rovere; in seguito verrà filtrato e quindi imbottigliato. E’ opportuno l’uso del tappo in sughero naturale come nel vino, alcuni produttori omaggiano il tappo a fungo, sempre in sughero, ma con testa in plastica. E’ comodo per l’uso dopo l’apertura della bottiglia. Finestra Il sommelier e il barolo chinato: servizio, assaggio, abbinamenti Il Barolo chinato si presenta moderatamente alcolico, con un colore rosso tra l’ambrato e il   granato, il profumo caratteristico ricorda la concia, mentre il gusto è caldo, rotondo e persistente. Non ha alcun limite evolutivo, meglio in ogni modo conservare la bottiglia coricata lontana da luce, rumori e vibrazioni. Servitelo nei piccoli “bicerin” a 13-14 gradi, abbinandolo a cioccolato, ( meglio quelli con alte percentuali di cacao), ideale anche per la pasticceria a base di cioccolato. Altri abbinamenti: piccoli dolci con mandorle amare, alcuni gourmet lo accostano felicemente a formaggi molto stagionati e non erborinati. Si scopre che il Barolo chinato è quanto mai versatile nel consumo: caldo diventa un ottimo “vin brulè” corroborante nel freddo invernale, allungato con molta acqua, ghiaccio e buccia di arancio diventa una bibita dissetante nel caldo estivo. Vediamo alcune regole sull’assaggio correlate all’esperienza personale presso le distillerie Gambarotta e in seguito a Fontanafredda. Alla vista dovrà sempre essere limpidissimo, preciso che inevitabilmente un leggero deposito in Barolo chinati molto vecchi si forma, in tal caso niente decantage, il deposito si è ormai compatto, pertanto è meglio versare con molta cura senza bruschi movimenti. Al naso presenterà note olfattive correlate alla concia, pertanto speziali, amare, chinate appunto. Ma debbono essere ben amalgamate, a differenza del vino non deve prevalere un aroma specifico bensì un aroma chinato - amaro piacevole e molto persistente. Spesso l’aroma è slegato per eccesso di spezie troppo amare o pungenti, es. chiodi garofano, oppure troppo dolci, es. arancio dolce o vaniglia. Al gusto l’equilibrio dovrà essere totale, questo si raggiunge se alcol e zucchero sono stati aggiunti razionalmente ed in giusta dose (un dato potrebbe essere pari zucchero e alcol in volume). Importanti sono anche acidità e tannicità del vino base. Alcune volte al gusto si presentano troppo dolci, sia per eccesso di zucchero, o per utilizzo di infuso squilibrato per eccessiva presenza di erbe con spiccati caratteri amaricanti - dolci.  www.tablino.it