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Vit.En. - I lieviti selezionati in enologia

Vit.En

I lieviti selezionati in enologia

di Annibale Gandini
Per millenni l’uomo ha fatto il vino ignorando l’esistenza dei lieviti. Solo all’inizio dell’Ottocento venne correlata, non senza contrasti, la fermentazione del mosto d’uva con l’attività di esseri microscopici denominati saccaromiceti, funghi dello zucchero.
Pasteur, che ne dimostrò sperimentalmente l’azione, scrisse: “Il gusto e le qualità del vino dipendono certamente, per una gran parte, dalla natura specifica dei lieviti che si sviluppano durante la fermentazione del mosto”.
Il messaggio fu raccolto dal danese Hansen il quale, nel 1884, introdusse nell’industria birraria la pratica della fermentazione in purezza, impiegando le colture pure di saccaromiceti che, in laboratorio, avevano fornito le migliori prestazioni.Supportato dagli studi di Müller-Thurgau sulle ben diverse caratteristiche enologiche dei lieviti apiculati e di quelli ellittici, l’uso dei lieviti selezionati in enologia fu proposto alla fine del XIX secolo.Risale al 1894 la fondazione, a Geisenheim, della Stazione per la produzione di lieviti selezionati da impiegare in vinificazione. Ravizza e Zecchini, dal 1889, condussero alla Stazione Enologica di Asti “Esperienze di fermentazione con lieviti purificati e selezionati”, poi proseguite da Mensio.
Nel 1900 veniva pubblicata in Francia da Jacquemin una ricca “Guida all’uso dei lieviti selezionati per la fermentazione dei vini” e nello stesso anno Passerini presentava, all’Accademia dei Georgofili, una memoria su “I Fermenti selezionati applicati al governo dei vini”.
Dai primi decenni del secolo scorso, impostata da De Rossi, ha avuto inizio una lunghissima serie di selezioni, massali e clonali, a partire da uve, mosti a vari stadi di fermentazione, vini e superfici di cantina, volte ad individuare i ceppi più adatti alla produzione del vino desiderato ed alle condizioni ambientali in cui avviene la vinificazione.
Purtroppo nei primi tempi alla commercializzazione fu abbinata una pubblicità mendace, che permetteva mirabolanti rese in alcol, nessuna produzione di acidità volatile nonché l’ottenimento di grandi vini anche da mosti di scarsa qualità, purché inoculati con ceppi provenienti da zone prestigiose! Naturalmente il miracolo non si verificava, complici anche le non corrette modalità d’impiego, cosicché il mondo enologico limitò l’uso dei lieviti selezionati ad una modesta percentuale della produzione. (continua)