Il diradamento è un’operazione quasi esclusivamente manuale, perché si tratta di scegliere quali siano i grappoli più maturi e quindi più propensi a fornire la qualità desiderata rispetto ad altri da tralasciare. Inoltre spesso sono necessari più passaggi, durante i quali si escludono anche solo porzioni di grappolo (di solito le ali o le punte) al fine di ottenere un livello qualitativo elevato e costante in tutto il vigneto. È ben comprensibile quanto tale operazione sia complessa e difficilmente meccanizzabile. Ciò fa capire quanto essa presenti costi di esecuzione molto elevati (40-50 ore per ettaro), sopportabili solo per uve e vini che spuntino prezzi di mercato altrettanto redditizi.
Nel tempo si sono fatti tentativi per ridurre i costi di tali interventi, come la proposta del diradamento chimico. Esso consiste nel distribuire formulati ormonici (Acido naftalen-acetico o gibberelline) a fine fioritura che provochino una parziale allegagione con conseguente contenimento della produzione. Si tratta perciò in questo caso di un diradamento degli acini e non dei grappoli, che appaiono più spargoli. Le ripercussioni qualitative di tale applicazione sono simili a quelle ottenute dal diradamento manuale, ma con costi sensibilmente inferiori.
Purtroppo è difficilissimo standardizzare l’effetto di tali formulati, perché basta pochissima disparità di fioritura all’interno anche dello stesso filare o della medesima pianta per ottenere un effetto eccessivo o pressoché nullo. Inoltre sono noti gli effetti a lungo termine (quindi negli anni successivi) di ripetuti trattamenti con ormonici, che possono portare a rese molto basse, o anche nulle, nei vigneti in cui si utilizzano ripetutamente. Per questi motivi tale pratica è al momento sconsigliabile.