In un primo tempo si pensò che lo zolfo, ormai impiegato da oltre 30 anni per combattere l’oidio, potesse avere una qualche attività contro la peronospora, ma presto si capì che così non era. Però, appena compresa la valenza del solfato di rame nei confronti della nuova malattia, non è stato difficile macinarlo finemente e abbinarlo allo zolfo, in percentuali variabili dal 3 al 10% e oltre, per avere un ottimo formulato in grado di combattere contemporaneamente i due funghi. Da subito, gli esperti viticoli hanno iniziato a diffondere questa proposta, approfittando delle annate difficili (“da peronospora”) per ribadire l’utilità e i vantaggi dello zolfo ramato (C). In particolare si citava la grande capacità di penetrazione, sicuramente superiore al liquido; inoltre, dalla fioritura in avanti il getto era tendenzialmente orientato verso la nuova vegetazione, ormai distante dalla zona fruttifera.
Lo zolfo ramato si impiega ancora oggi (non solo in ambienti difficili dove scarseggia l’acqua, quali Cinque Terre, ecc., ma anche nella viticoltura normale, nelle formulazioni preparate presenti in commercio al 3 e al 5%, o con miscugli
estemporanei ottenuti con l’aggiunta di ossicloruri, poltiglie bordolesi industriali o idrossidi. Molto impiegata in passato la gloriosa (ormai centenaria) Polvere Caffaro al 16%. Assolutamente sconsigliabile invece, per motivi igienici per gli operatori, l’abbinamento allo zolfo in polvere di altri prodotti antiperonosporici quali i ditiocarbammati o qualsiasi altro formulato.